
Due eventi di particolare importanza hanno sconvolto la Provincia di Oristano in questo ultimo mese e mezzo. Grande clamore ha suscitato il rapimento in Algeria della cooperante Rossella Urru, mentre ha scatenato meno seguito mediatico la morte sul lavoro della precaria Maria Cristina Allegretti. I due eventi pur nella loro diversità di fondo, hanno un denominatore comune: i rischi del lavoro. Soffermiamoci ora su quali aspetti comuni abbiano le due vicende, cercando di vedere la situazione da un aspetto generale, lasciando da parte moralismi e retorica.
La condizione del cooperante certamente è precaria; è la condizione di chi, guidato da sani principi, decide di mettere la sua vita al servizio degli altri, col rischio di non tornare a casa, probabilmente perché sente il senso di oppressione generato da questa società alienante, da cui vuole fuggire, per sanare il suo senso di impotenza verso anni e anni di colonialismo Occidentale. Consideriamo però, che colui che decide di fare questa scelta impegnativa e rischiosa è nelle condizioni di farlo, non ha cioè obblighi familiari, ed è culturalmente preparato a sopportare, volontariamente, un'esperienza del genere.
Il lavoratore del XXI secolo è un lavoratore tipicamente precario, assorbito completamente da questa società, senza possibilità di fuga, né di rivincita, personale o sociale. Probabilmente impigliato nelle maglie di questa vita non vita, con l'obbligo morale e fisiologico di provvedere alla sua sopravvivenza, e probabilmente a quella della sua famiglia, spogliato della sua dignità di uomo, e costretto ad essere sballottato da una parte all'altra in cerca di lavoro, e per una minima retribuzione, senza neanche la prospettiva di una pensione.
L'obiettivo di questo articolo non è quello di fare una classifica di gradimento o di disprezzo dell'una o dell'altra condizione, perché entrambe sono facce della stessa medaglia, entrambe sono opera di questa società, ed entrambe nel loro ambito e nella loro tragicità meritano lo stesso rispetto e la stessa considerazione. Ma allora cos'è che ci spinge a considerare più importante la situazione del cooperante? Perché tutti ne parlano e tutti si mobilitano e nessuno parla più di sicurezza sul lavoro o di morti sul lavoro?
Forse perché è un argomento che tiene con il fiato sospeso, e di cui i giornali si sono occupati maggiormente data la sua capacità d'attrazione, o forse anche perché, indirettamente, ci vogliamo lavare la nostra coscienza sporca, tramite la tragica storia della Urru, visto che quella della Allegretti era troppo poco capace di impressionare?
Fa riflettere, sapere che le persone vengono considerate per quello che fanno, e per ciò che vivono, solo quando si trovano ad affrontare delle grandi tragedie che smuovono i nostri animi.
Non basteranno centinaia di altri morti sul lavoro in Italia, perché qualcuno torni ad occuparsene; forse basterà un giorno per dimenticarseli, e una festa per commemorarli.
Bisogna tornare umani, tornare a parlare delle condizioni tragiche di lavoro in cui versa la nostra società.
Entrambi gli avvenimenti hanno qualcosa da dirci, bisogna però lasciarli parlare, e non privarli della possibilità di replica.
D.S.
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