Il nuovo
allarme del Fondo Monetario Internazionale, sottolinea come la disoccupazione
sia un problema gravissimo nel nostro paese. L’organizzazione di Washington ha
spiegato come il tasso di disoccupazione italiano salirà sino a toccare il 12%
nell’anno corrente, ed il 12,4 % nel 2014. [1]
La
situazione è tragica.
Le micro e
piccole imprese, strozzate da debiti, costi di gestione altissimi oppure da
crediti non riscuotibili, chiudono i battenti giorno dopo giorno.
Le grandi imprese non assumono e anzi licenziano o decidono di delocalizzare, lasciando a casa i loro dipendenti.
In aggiunta, l’Italia non è un paese per giovani: la disoccupazione giovanile tocca infatti il 40 %; tuttavia il dato più significativo è quello della percentuale di NEET ( Not in Education, Employment or Training), i giovani che per mancanza di stimoli, possibilità e opportunità rimangono senza far nulla, che in Italia sono circa 14 milioni di persone tra i 15 ed i 29 anni. [2]
Le grandi imprese non assumono e anzi licenziano o decidono di delocalizzare, lasciando a casa i loro dipendenti.
In aggiunta, l’Italia non è un paese per giovani: la disoccupazione giovanile tocca infatti il 40 %; tuttavia il dato più significativo è quello della percentuale di NEET ( Not in Education, Employment or Training), i giovani che per mancanza di stimoli, possibilità e opportunità rimangono senza far nulla, che in Italia sono circa 14 milioni di persone tra i 15 ed i 29 anni. [2]
Esistono
quindi due macro problemi: la mancanza di opportunità di lavoro sufficienti per
i meno giovani che diventano disoccupati, ed il problema della difficile
transizione tra scuola e lavoro, dovuta talvolta alla mancanza di competenze
sufficienti per lo stesso mercato del lavoro.
Uno dei
tanti prodotti degli anni della tecnologia e delle liberalizzazioni, sono i
Call Center, la cui diffusione è stata fulminea.
Letteralmente
centri di chiamata, sono delle ditte private (spesso delle s.r.l.) che
acquistano le cosiddette ‘anagrafiche’, da centri di raccolta dati oppure
raccolgono i numeri dagli elenchi telefonici pubblici.
I Call Center, mediante i loro operatori, contattano questi numeri e vendono direttamente un prodotto, per conto terzi.
I Call Center, mediante i loro operatori, contattano questi numeri e vendono direttamente un prodotto, per conto terzi.
Gli
operatori, sono dei collaboratori con contratto a progetto; delle vittime del
cosiddetto Co.Co.Pro. [3], introdotto dalla legge Biagi del secondo governo
Berlusconi, che conferisce al datore di lavoro l’unico impegno di retribuire il
lavoratore
Nasce quindi
una forma di sfruttamento, dovuta ad un eccessivo potere contrattuale del
datore di lavoro sul lavoratore stesso, che produce una condizione ricattabile
nella quale il lavoratore è costretto ad accettare uno stipendio minimo per una
produttività relativamente troppo alta. Oltretutto, il datore di lavoro non
avendo vincoli col lavoratore stesso, può decidere di licenziarlo per un calo
di produttività senza preavviso. Vero e proprio lavoro nero legalizzato.
Ecco quindi che, nonostante tutto questo tipo
di impiego si rivela l’unica ( o una delle poche) opportunità che ha un
disoccupato di lavorare: quindi di poter vivere.
Un effetto
spugna, una sorta di tappo temporaneo che sopperisce alla mancanza di reddito
di giovani e meno giovani che non sono ancora tecnicamente pensionabili.
Seppur con
le dovute differenze, la situazione è paragonabile al ruolo delle miniere di
zolfo o carbone tra 800 e 900, che rappresentò l’ultima spiaggia. Forse l’unica
disponibile.
Che
significato assume il termine sfruttamento, quando non esiste alternativa a
questo? Cosa rischia una società che accetta questo tipo di sottomissione?
S.O.
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