martedì 16 aprile 2013

L'ULTIMA SPIAGGIA


Il nuovo allarme del Fondo Monetario Internazionale, sottolinea come la disoccupazione sia un problema gravissimo nel nostro paese. L’organizzazione di Washington ha spiegato come il tasso di disoccupazione italiano salirà sino a toccare il 12% nell’anno corrente, ed il 12,4 % nel 2014. [1] 
 La situazione è tragica.

Le micro e piccole imprese, strozzate da debiti, costi di gestione altissimi oppure da crediti non riscuotibili, chiudono i battenti giorno dopo giorno. 

Le grandi imprese non assumono e anzi licenziano o decidono di delocalizzare, lasciando a casa i loro dipendenti.

In aggiunta, l’Italia non è un paese per giovani: la disoccupazione giovanile tocca infatti il 40 %; tuttavia il dato più significativo è quello della percentuale di NEET ( Not in Education, Employment or Training), i giovani che per mancanza di stimoli, possibilità e opportunità rimangono senza far nulla, che in Italia sono circa 14 milioni di persone tra i 15 ed i 29 anni.  [2]
Esistono quindi due macro problemi: la mancanza di opportunità di lavoro sufficienti per i meno giovani che diventano disoccupati, ed il problema della difficile transizione tra scuola e lavoro, dovuta talvolta alla mancanza di competenze sufficienti per lo stesso mercato del lavoro.
Uno dei tanti prodotti degli anni della tecnologia e delle liberalizzazioni, sono i Call Center, la cui diffusione è stata fulminea. 
Letteralmente centri di chiamata, sono delle ditte private (spesso delle s.r.l.) che acquistano le cosiddette ‘anagrafiche’, da centri di raccolta dati oppure raccolgono i numeri dagli elenchi telefonici pubblici.

I Call Center, mediante i loro operatori, contattano questi numeri e vendono direttamente un prodotto, per conto terzi. 
Gli operatori, sono dei collaboratori con contratto a progetto; delle vittime del cosiddetto Co.Co.Pro. [3], introdotto dalla legge Biagi del secondo governo Berlusconi, che conferisce al datore di lavoro l’unico impegno di retribuire il lavoratore
Nasce quindi una forma di sfruttamento, dovuta ad un eccessivo potere contrattuale del datore di lavoro sul lavoratore stesso, che produce una condizione ricattabile nella quale il lavoratore è costretto ad accettare uno stipendio minimo per una produttività relativamente troppo alta. Oltretutto, il datore di lavoro non avendo vincoli col lavoratore stesso, può decidere di licenziarlo per un calo di produttività senza preavviso. Vero e proprio lavoro nero legalizzato. 
Ecco quindi che, nonostante tutto questo tipo di impiego si rivela l’unica ( o una delle poche) opportunità che ha un disoccupato di lavorare: quindi di poter vivere. 
Un effetto spugna, una sorta di tappo temporaneo che sopperisce alla mancanza di reddito di giovani e meno giovani che non sono ancora tecnicamente pensionabili. 
Seppur con le dovute differenze, la situazione è paragonabile al ruolo delle miniere di zolfo o carbone tra 800 e 900, che rappresentò l’ultima spiaggia. Forse l’unica disponibile.
Che significato assume il termine sfruttamento, quando non esiste alternativa a questo? Cosa rischia una società che accetta questo tipo di sottomissione?

S.O.





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