C'è chi lo ribadisce da anni e chi da pochi mesi, ma il concetto espresso resta valido: la Sardegna è sotto attacco, è un far west economico, industriale e militare nel quale pionieri con una morale se possibile ancora più debole di quella degli antieroi degli spaghetti western avanzano verso occidente massacrando i pellerossa. Qua non ci sono regole e le popolazioni che abitano l'isola sono prive del diritto all'autogoverno ed è così che multinazionali del vento e del sole, eserciti delle potenze occidentali e speculatori di vario genere hanno scatenato una corsa all'oro sulla nostra pelle.
In questo momento però i media mainstream dell'isola si stanno impegnando con tutte le forze a dipingere dei sardi preoccupati più per l'arrivo di un centinaio di rifugiati politici africani e mediorientali che per l'attacco di cui sono oggetto ogni giorno, e si sa che una cosa quando ci si crede molto, alla fine diventa vera. Addirittura ci sono esponenti politici che si preoccupano più dei controlli sanitari su questi poveri uomini che fuggono da guerre di cui noi siamo i principali responsabili, che del ribadire in ogni singolo istante della loro attività politica che ci sono posti in quest'isola con livelli di inquinamento intollerabili. E i giornali isolani stanno là, a fare da megafoni.
Da questo breve esempio emerge chiaramente che l'informazione sarda ha bisogno di un pluralismo che non sia solo geografico. L'aveva capito bene il signor Rovelli, padrone del petrolchimico di Porto Torres, che tra anni Sessanta e Settanta aveva acquistato sia la Nuova Sardegna che l'Unione Sarda, trasformando i due principali (unici?) quotidiani sardi in megafoni dell'industria coloniale.
Il passaggio dalle lotte dei territori alla Lotta generale per cambiare radicalmente il sistema che governa la Sardegna, passa anche per la trasformazione dell'informazione in un potere realmente indipendente.
(D.P.)
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