24 marzo 1970: Paolo VI, al secolo Giovanni Battista Enrico Antonio Maria Montini, 262° successore di Pietro al Soglio Pontificio, arriva a Cagliari e riceve un'accoglienza un po' fredda nel quartiere di Sant'Elia. Alcuni anarchici organizzano una contestazione che troverà l'appoggio di molti abitanti del quartiere. Quando il Papa va via, si scatena una sassaiola all'indirizzo delle forze dell'ordine presenti e il tutto si concluderà con una quindicina di poliziotti contusi, circa trecento fermati tra i manifestanti e una ventina di arresti.
Paolo VI non si recò a Sant'Elia per una visita di piacere (praticamente parole sue, qua il link del discorso tenuto da Montini nel sobborgo cagliaritano: Eccoci a Sant'Elia), ma perché voleva visitare uno dei quartieri più degradati e più poveri d'Italia. E le sue parole furono molto toccanti, certamente non condivisibili per quel che mi riguarda, ma non è questa la sede di analizzare il pensiero di Paolo VI e della Chiesa Romana sulla povertà.
Vorrei parlare piuttosto di quanto accaduto nella visita di Francesco I a Cagliari, ma non concentrandomi sulle sue parole quanto piuttosto sull'atteggiamento tenuto dai partecipanti all'evento (e dico evento come se stessi parlando della concerto del Primo maggio o di una finale di Coppa dei Campioni o della notte degli Oscar).
Partiamo dal fatto che la presenza delle autorità, in qualsiasi occasione, ha un nonsoché di stucchevole. A prescindere da questo, hanno incontrato il Papa numerose delegazioni non istituzionali -addirittura i Comitati per la Zona Franca- che hanno "portato al pontefice il grido di dolore dell'Isola per la disoccupazione e la povertà".
Ecco: il Papa non ha, dal punto di vista politico ed economico, nessuna capacità di influire sulle situazioni che lamentavano i comitati. Anche Giovanni Paolo II nel 1985 andò a trovare i minatori nelle gallerie di Monteponi eppure questo non ha avuto alcun effetto sulla crisi irreversibile del Sulcis.
Liberi i cattolici di gioire per la visita del Papa e di avere fede che le sue preghiere potranno salvare la Sardegna, ma sono i politici di sinistra che oggi hanno perso un altro giorno utile per parlare di dispersione scolastica, disoccupazione, sfruttamento, precarietà e speculazione stando appresso a quello che, al di là della fede di ciascuno, non è altro che un evento in cui la classe dirigente sarda ha fatto a gara per chi diceva più banalità.
(D.P.)
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