di Gianluigi Deiana, Sinistra Critica Oristano
La catastrofe non calcolata di Fukushima segna la fine dell’era atomica. Ora è la forza delle cose ad imporre di cambiare, con i mezzi e le tecniche di produzione dell’energia, il nostro stesso modo di pensare. Questo imperativo si pone non solo nelle pianificazioni nazionali o nelle controversie locali sul tema della produzione energetica, come poteva essere anche in Italia solo fino a pochi giorni fa, ma diventa per necessità oggettiva il vero ordine del giorno del governo mondiale.
Nel prossimo mese di giugno si terrà nella costa mediterranea della Francia la riunione del G20; ma questa volta i Grandi non arriveranno a Cannes per una passerella sulla Croisette e per esiti precostituiti in materia di libero mercato, quote agricole o emissioni di gas serra, poiché non potranno più fare appello ai fondamenti di quello che è stato fino ad oggi il cosiddetto nuovo ordine mondiale. Mentre il mondo arabo sta presentando il conto sul ritmo folle di sfruttamento del petrolio, e mentre il videogioco del neoliberismo sta intrappolando nella crisi globale i suoi stessi padroni, in Giappone è irreversibilmente crollato il modello d’avanguardia dell’intero sistema.
Il crollo del modello d’avanguardia è netto, non ammette attenuanti teoriche e non dispone allo stato attuale di strumenti di attenuazione pratica quanto alle inevitabili ricadute borsistiche e monetarie. Esso ha dissolto tutta l’architettura combinata di argomentazioni scientifiche pubbliche e soluzioni tecniche segrete; la contraddizione interna di tutta la sciagurata avventura nucleare, e cioè l’impossibilità di conciliare la necessità di totale trasparenza con la necessità di totale segretezza, è esplosa per sempre nel cuore stesso del suo modello perfetto, a due ore di vento da Tokio.
Nel puzzle nucleare si giocano partite complesse ed in primis il business finanziario, la competizione militare e la dominazione industriale, ai massimi livelli di posta in gioco. La Sardegna è stata terreno di caccia per tutte queste partite, come dimostrano visibilmente (ed ancor più “invisibilmente”) i cinquant’anni di attenzioni particolari dello stato italiano, dell’alleanza atlantica e delle multinazionali del nucleare civile-militare. La Sardegna è da decenni al centro del piano nucleare italiano, sia per la dislocazione dei reattori, sia per la dislocazione delle scorie, sia per il riutilizzo del materiale radioattivo in ambito militare.
Il governo italiano è stato in queste ore, protetto da diecimila chilometri di distanza dall’apocalisse, l’unico governo negazionista rispetto a Fukushima ed è l’unico governo che riconferma il piano di acquisto di quattro centrali Areva di cosiddetta terza generazione. Promette tuttavia una pausa di riflessione, che per la sua spudorata ipocrisia auguriamo perpetua. Vedere elicotteri Chinook volare impotenti da giorni su reattori a rischio immediato di esplosione, con cestelli d’acqua in disuso da anni persino negli incendi campestri, offre un’immagine plastica dello stato di affidabilità di tutte le dichiarazioni scientifiche e politiche sulle centrali di qualsivoglia generazione.
Il 15 maggio tutto questo torbido fardello di visibilità ed invisibilità, illusione ed incoscienza, opportunismo e menzogna, sarà portato in referendum al giudizio del popolo sardo. Dopo solo qualche settimana sarà portato al giudizio del popolo italiano col referendum del 12 giugno e quell’esito costituirà, immediatamente dopo, il vero portafoglio del governo italiano al G20 di Cannes. Il referendum sardo avrà quindi effetti pressoché decisivi sia sul quorum del referendum italiano di giugno sia sul portafoglio negazionista italiano al G20.
Questo stato di cose evidenzia come l’azione del Comitato referendario sardo sia tutt’altro che una pura rivendicazione localistica del genere “non nel mio giardino”, e come esso sia quindi investito per il corso stesso delle cose, come è d’altronde per tanti movimenti di azione popolare antinucleare nel mondo, di una responsabilità politica di prima linea.
Diffondiamo per questo motivo l’appello alla manifestazione regionale a Cagliari per sabato 26 marzo.
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