La Val di Susa è un perfetto paradigma, un cammino che, se percorso, potrebbe aiutarci davvero a uscire da questo Sistema. Il 15 ottobre potrebbe aver dimostrato che la via della grande manifestazione nazionale (internazionale addirittura) non è più la migliore; e se l'anticapitalismo potesse essere portato avanti nelle piccole vertenze locali? E se fosse più semplice e magari più redditizio cercare di cambiare il sistema nel piccolo?
Certamente la lotta dei No TAV è volta alla difesa dell'ambiente, della sanità, del paesaggio e dell'autodeterminazione, ma senza esagerare possiamo definirla anche una lotta anticoloniale, contro il sistema della crescita infinita, contro le politiche della speculazione e più in generale anticapitalista.
Ora, certamente, portare avanti la lotta anticapitalista impedendo la costruzione della TAV è molto più facile che scendendo in piazza e accampandosi come si voleva fare il 15 ottobre; di certo applicarsi sul locale sarà più vantaggioso che combattere contro i mulini a vento del capitalismo planetario. Non è che sia una passeggiata, ma tra la padella e la brace è sempre meglio la padella.
E dunque? E dunque non sarebbe male se si andasse al di là della singola presenza delle forze anticapitaliste in tutte queste vertenze locali, bisognerebbe cercare di tessere una rete (che già di sicuro esiste, ma come ha dimostrato il 15 ottobre è tremendamente fragile) di collegamenti.
Ugualmente anche la questione dell'autodeterminazione deve entrare ancora di più nella dialettica delle forze anticapitaliste, forse fino ad ora troppo legate alla concezione rigidamente statuale dell'Italia come una, indivisibile e repubblicana. Tutto questo anche considerando che, ormai, con la globalizzazione, l'autodeterminazione non è più solo un diritto dei popoli, ma anche delle popolazioni e così anche i valsusini (e non solo i curdi o i baschi) hanno diritto alla loro scelta autodeterminata.
(d.p)
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