Anche Roma si prepara ad affrontare le elezioni che si svolgeranno fra un anno. Oggi, si è svolta al Cinema Palazzo (quello, per intenderci, occupato per impedire la realizzazione di un casinò all'interno del quartiere storico di San Lorenzo) un'assemblea di molte realtà del movimento romano. L'obiettivo: portare il discorso dei beni comuni e dell'autogoverno all'interno del Comune, ragionando sul se e sul come creare un progetto elettorale che coinvolga i movimenti.
Oristano non è Roma, ma neanche il capoluogo campidanese fu costruito in un giorno e il percorso per il cambiamento sarà altrettanto lungo. Quale obiettivo ha questo cambiamento? Non aspiriamo a un generico "nuovo", aspiriamo a una nuova politica locale fondata su due presupposti: beni comuni e autogoverno. Sì, abbiamo la soluzione in mano, perché la crisi politica, culturale, economica si affronta così, con il rafforzamento delle politiche in favore di questi due strumenti.
Per beni comuni è difficile dare una definizione, diciamo che si tratta di beni che appartengono a tutti nel senso che nessuno può essere escluso dal loro consumo. Inoltre, se un ghiacciolo può essere mangiato da una sola persona, i beni comuni come l'aria, un paesaggio, un opera artistica, una struttura culturale possono essere fruiti da tutti. Questi due aspetti sono definiti, nella teoria economica, non escludibilità e non rivalità.
La nuova concezione di bene comune va oltre queste due semplici caratteristiche, aggiungendo un aspetto più politico: i beni comuni vanno mantenuti tali e amministrati dal pubblico nell'interesse della collettività o ancora meglio deve essere la collettività stessa a governarli.
Dunque entra in gioco anche l'aspetto dell'autogoverno, strumento attraverso il quale si riescono a superare i limiti imposti dai bilanci ristretti e dal patto di stabilità. Attraverso la partecipazione dal basso, i comitati di quartiere, i collettivi si possono gestire al meglio i beni comuni e le risorse collettive senza eccessive spese e nel reale interesse di tutti.
Questo è il nostro progetto, ed ecco che diventa fondamentale il discorso dell'amministrazione locale e del tentativo di guidare la sua azione con questi due presupposti. Ecco che divanta fondamentale farlo per Oristano.
dp
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penso che i comitati di quartiere siano quasi irrealizzabili nella realtà oristanese. le persone sono distaccate dal concetto di bene collettivo,sono molto egoiste e poco propense a sacrificare un minimo del loro per migliorare un minimo altrui.lo vedo nei ragazzi che conosco, molti dei quali si ritengono pure di sinistra, che quindi dovrebbero essere più attenti a queste tematiche,ma che non muoverebbero un dito, perchè quando c'è da rimboccarsi le maniche, da darsi da fare anche solo per il proprio quartiere, per la cosa pubblica, non si muovono perchè non c'è 1 vantaggio privato.
RispondiEliminaper questo, sono più propenso a puntare su una rete cittadina di associazioni di volontariato e non, di diversi interessi. per esempio puntare al coinvolgimento di giovani e non in associazioni quali la caritas, nell'organizzazione della mensa per i bisognosi, raccolta vestiti per i bisognosi e loro distibuzione a chi ne abbisogna, organizzazione eventi culturali nelle zone più povere, come i quartieri dell'AREA, delle case popolari,con la pulizia collettiva di quelle aree, la sistemazione di giochi per bambini o altro.insomma i pochi volenterosi che ci sono a oristano dovrebbero occuparsi delle zone con più concentrazione di povertà. comitati di quartiere sono uno strumento splendido ed efficace, di politica partecipata,vera,ma non realizzabile, a mio avviso, a oristano, o realizzabile con molte difficoltà
Il tuo ragionamento non è sbagliato purtroppo. E' vero che a Oristano ci sono delle difficoltà particolari, dovute alla sua storia politica. Il passo dei comitati di quartiere potrebbe essere un passo successivo, è vero, ma comunque lavorando in questa direzione si riesce a ottenere qualcosa. Delle reti di volontariato ci sono già, e sono il punto di partenza per questo processo. In ogni caso vogliamo essere gramsciani e credere che sia possibile un lavoro culturale che rompa l'egemonia culturale oristanese, diffondendo le nuove idee.
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