giovedì 8 marzo 2012

Più NAV meno TAV!

Il nodo del problema tav è condensato nel teorema Cancellieri, la signora ministro dell'interno: " Il governo è aperto al dialogo, ma non può esservi discussione". E' chiaro che un nodo di tale natura logica (dialogo, ma senza discussione) può essere risolto dall'interlocutore soltanto come Alessandro il Grande risolse il nodo di Gordio (secondo la narrazione, con un colpo di spada). Meno sofisticato e più diretto è il postulato Monti, il vestito senza corpo che è capo del governo: "Il governo adotterà la linea dura"; in una democrazia si sarebbe tenuti a rispondere con altrettanta eleganza ("ùsala per appendere il loden", oppure "mettetevela di dietro").  Ma c'è pur sempre il presidente della repubblica, Giorgio Napolitano, al quale i sindaci contrari alla tav hanno chiesto di favorire, piuttosto che il "dialogo" sulle compensazioni, la "discussione" sulla ragione tecnica ed economica dell'opera. Ha detto no, aggiungendo di suo "è ora di passare allo sviluppo". Traduzione: senza tav non c'è sviluppo, senza linea dura non c'è tav, aprendo la discussione non c'è linea dura. 

I partiti dell'arco parlamentare e gli organi di informazione replicano all'infinito questo stupido balletto, e questo è tutto. Iniziarono vent'anni fa, con la dottrina del treno per l'Europa: pagammo il biglietto 90.000 miliardi di lire e ci votammo a un travaso di portafoglio (da lavoratori a padroni) della portata di un genocidio generazionale; oggi che il genocidio è compiuto siamo senza portafoglio, senza figli e per di più senza respiro. Ecco dunque il tunnel per l'Europa, la giugulare da Kiev a Lisbona senza cui resteremmo senza vita; ma non è che una sciocca religione di salvezza: oggi in Italia si invecchia in modo inumano e si è giovani in una precarietà la cui formula sociale è "fine pena mai". Dalla dottrina del treno alla dottrina del tunnel: in senso clinico questo è autismo. 

Perché il caso tav ha assunto una tale rilevanza di ordine generale? Per una semplice ragione, e cioè per il fatto che la sindrome autistica pervade tutto l'ordine generale: tenuta delle istituzioni, debito pubblico, darwinismo sociale, crisi economica, rappresentanza politica, metastasi corruttive, proliferazione mafiosa, vita pubblica ecc. Siamo in piena evidenza in una democrazia malata e in una economia drogata, a livelli da stadio terminale. La lotta no-tav, tra tutte le manifestazioni conclamate di questo disastro, è oggi la più forte manifestazione di resistenza dell'organismo ed è anche la riprova della sua capacità fisiologica di guarigione. La lotta no-tav non è un simbolo placebo, è la dimostrazione che abbiamo degli anticorpi capaci di far resistere l'intero organismo e che questi sono più forti della malattia. Per questo da parte del sinedrio dei tecnici la lotta no-tav deve essere dipinta come un'eresia irrazionale e violenta, deve essere piegata alla linea dura e convertita in un ultracorpo dialogante, contento di compensazione e sorridente all' Europa dei mercati.

Il sinedrio dei tecnici non ha carattere politico, ha piuttosto carattere religioso; non discute, ma pontifica; non rende conto, ma evoca; non discute, ma "dialoga" dietro schieramenti antisommossa. Come ogni religione si fonda su un arcano che viene risolutamente occultato nei tabernacoli dei ministeri. Ma qual è l'arcano? L'arcano consiste nel fatto che si è inventata una torta e si è appaltata la torta senza veri contratti, che i contratti sono senza veri progetti, che si tratta di trattative senza gara e senza limite definito e tutto ciò in piena discrezionalità di grandi monopoli: Gavio, Ligresti, Benetton, Lunardi, maxi cooperative delle costruzioni. I governi di questi anni hanno scavato da tempo nella loro anima questo curioso tunnel della tav immaginaria: hanno avviato contratti illegittimi ed ora non possono tornare indietro. Più vanno avanti e meno possono tornare indietro, in quanto "indietro non si torna", "ce lo chiede l'Europa", "è indispensabile per lo sviluppo" ecc. 

In un paese propriamente moderno prima si fa l'ipotesi, poi si valutano costi e benefici, poi ci si confronta con le parti interessate ed in primo luogo con le popolazioni, poi si fa il progetto, poi si fanno le gare d'appalto, poi si fanno i contratti; nell'Italia del libro bianco si segue la procedura esattamente al contrario, e se i territori, le popolazioni e la società civile non vigilano... non si torna indietro; e se aspettano (la Salerno-Reggio Calabria, le zone terremotate, le comuni linee ferroviarie ecc.) moriranno aspettando. Insomma la tav si deve fare perché ci sono i contratti, anche se non ci sono le gare, né i progetti, né la valutazione dei residenti, né l'analisi dei costi e dei benefici, né la minima proiezione nelle condizioni dell'economia futura: niente di niente, ed è per questo che propriamente "non può esservi discussione". Dietro l'arcano, in fondo, c'è questo semplice teorema. 

Cosa vediamo in ogni realtà italiana, dal Piemonte alla Sicilia, attraverso il no-tav che resiste? Vediamo ad esempio che il costo di traversata dello stretto di Messina per il trasporto merci è fuori da ogni logistica (300 euro a traversata per un tir) e lo è soprattutto per le tanto venerate "merci" che evidentemente mutano religiosità sulla linea Kiev-Lisbona (il tunnel d'oro) rispetto all'asse Palermo-Milano (la giungla d'asfalto). Ma poi c'è appunto la Salerno-Reggio Calabria, che le sacre scritture potrebbero riportare come una maledizione divina, e poi le zone dei terremoti mai sanate dal Belice (1962) all'Aquila (2010), e poi le aree inquinate dalle grandi industrie e dalle grandi opere del tutto prive di prospettiva di ricupero alla dignità ambientale (senza eccezione alcuna, da Marghera a Porto Torres, da Taranto a Gela). Lo sviluppo si era fermato ad Eboli, un secolo fa; ora è arretrato a Lione.

Sarebbe facile elencare le estenuanti battaglie nate in Sardegna contro queste immense predonerie e connettere quelle dei vecchi poli petrolchimici (Porto Torres) a quelle ancora in piena attività (Sarroch) a quelle in gestazione (Galsi, fotovoltaico su serre, agricoltura per biomasse ecc.); ma non è necessario: ci soccorre l'intimazione del governo italiano alla regione sarda, proprio nei giorni di fuoco della rivolta in Val di Susa, a non avanzare competenze in materia di trasporti marittimi. No-nav, è stato il diktat del governo italiano alla sua isola più spogliata e più lontana. La Tirrenia aveva appena annunciato la riduzione delle corse a livelli anteguerra, la Corsica Ferry aveva dato forfait, la lobby Onorato aveva imposto prezzi da freccia rossa. E' curioso; mia figlia abita a Bologna e può fare il week end a Zurigo viaggiando in treno da Milano con 20 euro; mio figlio spende praticamente lo stesso denaro per andare da Oristano a Cagliari all'università, come altri per lavoro o per ordinaria necessità. Un carico di merce industriale da Ottana al Brennero spende di più che lo stesso carico dalla Thailandia all'Europa, e se io davvero volessi togliermi lo sfizio di andare da Torino a Lione in due ore dovrei sopravvivere alla Porto Torres-Genova di dodici ore, ammesso che non venga soppressa la nave e che comunque esca illeso dal suo degrado.

L'ideologia per la quale i popoli si uniscono per il tramite del mercato è stata sempre onorata nel corso della storia, ma è del tutto falsa per quanto riguarda la storia presente; quindi la sciocca idea di unire l'Europa per corridoi, tunnel e container non è che propaganda malata. A che vale unire interporti e logistiche commerciali se il risultato è quello di dividere la società, dividere la società separandola con montagne ben più invalicabili delle Alpi e ben più durature delle muraglie cinesi, come dimostra la semplice condizione per cui un treno (come un ospedale, come un lavoro, come una scuola) è accessibile a pochi e precluso alla gente comune? A che vale unire le economie se per fare questi "corridoi" il risultato è che i popoli di alcune nazioni diventano debitori eterni delle banche di altre nazioni? La risposta è stata data all'inizio di questa epoca di tempesta, scritta sull'acropoli di Atene dove la democrazia è nata e dove l'Europa ha preso il suo nome: "Popoli dell'Europa, insorgiamo".

gian luigi deiana
(sinistra critica)

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