Il
nodo del problema tav è
condensato nel teorema Cancellieri, la signora ministro dell'interno: "
Il governo è aperto
al dialogo, ma non può esservi discussione". E' chiaro che un nodo di
tale natura logica (dialogo, ma senza discussione) può essere risolto
dall'interlocutore soltanto come Alessandro il Grande risolse il nodo di
Gordio (secondo la narrazione, con un colpo di spada). Meno sofisticato
e più diretto è il postulato Monti, il vestito senza corpo che è capo
del governo: "Il governo adotterà la linea dura"; in una democrazia si
sarebbe tenuti a
rispondere con altrettanta eleganza ("ùsala per appendere il loden",
oppure "mettetevela di dietro"). Ma c'è pur sempre il presidente della
repubblica, Giorgio Napolitano, al quale i sindaci contrari alla tav
hanno chiesto di favorire, piuttosto che il "dialogo" sulle
compensazioni, la "discussione" sulla ragione tecnica ed economica
dell'opera. Ha detto no, aggiungendo di suo "è ora di passare allo
sviluppo". Traduzione: senza tav non c'è sviluppo, senza linea dura non
c'è tav, aprendo la discussione non c'è linea dura.
I
partiti dell'arco parlamentare e gli organi di informazione replicano
all'infinito questo stupido balletto, e questo è tutto. Iniziarono
vent'anni fa, con la dottrina del treno per l'Europa: pagammo il
biglietto 90.000 miliardi di lire e ci votammo a un travaso di
portafoglio (da lavoratori a padroni) della portata di un genocidio
generazionale; oggi che il genocidio è compiuto
siamo senza portafoglio, senza figli e per di più senza respiro. Ecco
dunque il tunnel per l'Europa, la giugulare da Kiev a Lisbona senza cui
resteremmo senza vita; ma non è che una sciocca religione di salvezza:
oggi in Italia si invecchia in modo inumano e si è giovani in una
precarietà la cui formula sociale è "fine pena mai". Dalla dottrina del
treno alla dottrina del tunnel: in senso clinico questo è autismo.
Perché
il caso tav ha assunto una tale rilevanza di ordine generale? Per una
semplice ragione, e cioè per il fatto che la sindrome autistica pervade
tutto l'ordine generale: tenuta delle istituzioni, debito pubblico,
darwinismo sociale, crisi economica, rappresentanza politica, metastasi
corruttive, proliferazione mafiosa, vita pubblica ecc. Siamo
in piena evidenza in una democrazia malata e in una economia drogata, a
livelli da stadio terminale. La lotta no-tav, tra tutte le
manifestazioni conclamate di questo disastro, è oggi la più forte
manifestazione di resistenza dell'organismo ed è anche la riprova della
sua capacità fisiologica di guarigione. La lotta no-tav non è un simbolo
placebo, è la dimostrazione che abbiamo degli anticorpi capaci di far
resistere l'intero organismo e che questi sono più forti della malattia.
Per questo da parte del sinedrio dei tecnici la lotta no-tav deve
essere dipinta come un'eresia irrazionale e violenta, deve essere
piegata alla linea dura e convertita in un ultracorpo dialogante,
contento di compensazione e sorridente all' Europa dei mercati.
Il
sinedrio dei tecnici non ha carattere politico, ha piuttosto carattere
religioso; non
discute, ma pontifica; non rende conto, ma evoca; non discute, ma
"dialoga" dietro schieramenti antisommossa. Come ogni religione si fonda
su un arcano che viene risolutamente occultato nei tabernacoli dei
ministeri. Ma qual è l'arcano? L'arcano consiste nel fatto che si è
inventata una torta e si è appaltata la torta senza veri contratti, che i
contratti sono senza veri progetti, che si tratta di trattative senza
gara e senza limite definito e tutto ciò in piena discrezionalità di
grandi monopoli: Gavio, Ligresti, Benetton, Lunardi, maxi cooperative
delle costruzioni. I governi di questi anni hanno scavato da tempo nella
loro anima questo curioso tunnel della tav immaginaria: hanno avviato
contratti illegittimi ed ora non possono tornare indietro. Più vanno
avanti e meno possono tornare indietro, in quanto "indietro non si
torna", "ce lo chiede l'Europa", "è indispensabile per lo sviluppo"
ecc.
In
un paese propriamente moderno prima si fa l'ipotesi, poi si valutano
costi e benefici, poi ci si confronta con le parti interessate ed in
primo luogo con le popolazioni, poi si fa il progetto, poi si fanno le
gare d'appalto, poi si fanno i contratti; nell'Italia del libro bianco si
segue la procedura esattamente al contrario, e se i territori, le
popolazioni e la società civile non vigilano... non si torna indietro; e
se aspettano (la Salerno-Reggio Calabria, le zone terremotate, le
comuni linee ferroviarie ecc.) moriranno aspettando. Insomma la tav si
deve fare perché ci sono i contratti, anche se non ci sono le gare, né i
progetti,
né la valutazione dei residenti, né l'analisi dei costi e dei benefici,
né la
minima proiezione nelle condizioni dell'economia
futura: niente di niente, ed è per questo che propriamente "non può
esservi discussione". Dietro l'arcano, in fondo, c'è questo semplice
teorema.
Cosa
vediamo in ogni realtà italiana, dal Piemonte alla Sicilia, attraverso
il no-tav che resiste? Vediamo ad esempio che il costo di traversata
dello stretto di Messina per il trasporto merci è fuori da ogni
logistica (300 euro a traversata per un tir) e lo è soprattutto per le
tanto venerate "merci" che evidentemente mutano religiosità sulla linea
Kiev-Lisbona (il tunnel d'oro) rispetto all'asse Palermo-Milano
(la giungla d'asfalto). Ma poi c'è appunto la Salerno-Reggio
Calabria, che le sacre scritture potrebbero riportare come una
maledizione divina, e poi le zone dei terremoti mai sanate dal Belice
(1962) all'Aquila (2010), e poi le aree inquinate dalle grandi industrie
e dalle grandi opere del tutto prive di prospettiva di ricupero alla
dignità ambientale (senza eccezione alcuna, da Marghera a Porto Torres,
da Taranto a Gela). Lo sviluppo si era fermato ad Eboli, un secolo fa;
ora è arretrato a Lione.
Sarebbe
facile elencare le estenuanti battaglie nate in
Sardegna contro queste immense predonerie e connettere quelle dei
vecchi poli
petrolchimici (Porto Torres) a quelle ancora in piena attività
(Sarroch) a quelle in gestazione (Galsi, fotovoltaico su serre,
agricoltura per biomasse ecc.); ma non è necessario: ci soccorre
l'intimazione del governo italiano alla regione sarda, proprio nei
giorni di fuoco della rivolta in Val di Susa, a non avanzare competenze
in materia di trasporti marittimi. No-nav, è stato il diktat del governo
italiano alla sua isola più spogliata e più lontana. La Tirrenia aveva
appena annunciato la riduzione delle corse a livelli anteguerra, la
Corsica Ferry aveva dato forfait, la lobby Onorato aveva imposto prezzi
da freccia rossa. E' curioso; mia figlia abita a Bologna e può fare il
week end a Zurigo viaggiando in treno da Milano con 20 euro; mio figlio
spende praticamente lo stesso denaro per andare da Oristano a Cagliari
all'università, come altri per lavoro o per ordinaria necessità. Un
carico di merce industriale da Ottana al Brennero spende di
più che lo stesso carico dalla Thailandia all'Europa, e se io davvero
volessi togliermi lo sfizio di andare
da Torino a Lione in due ore dovrei sopravvivere alla Porto
Torres-Genova di dodici ore, ammesso che non venga soppressa la nave e
che comunque esca illeso dal suo degrado.
L'ideologia
per la quale i popoli si uniscono per il tramite del mercato è stata
sempre onorata nel corso della storia, ma è del tutto falsa per quanto
riguarda la storia presente; quindi la sciocca idea di unire l'Europa
per corridoi, tunnel e container non è che propaganda malata. A che vale
unire interporti e logistiche commerciali se il risultato è quello di
dividere la società, dividere la società separandola con montagne ben
più invalicabili delle Alpi e ben più durature delle muraglie cinesi,
come dimostra la semplice condizione per cui un treno (come un ospedale,
come
un lavoro, come una scuola) è accessibile a pochi e precluso alla gente
comune? A che vale unire le economie se per fare questi "corridoi" il
risultato è che i popoli di alcune nazioni diventano debitori eterni
delle banche di altre nazioni? La risposta è stata data all'inizio di
questa epoca di tempesta, scritta sull'acropoli di Atene dove la
democrazia è nata e dove l'Europa ha preso il suo nome: "Popoli
dell'Europa, insorgiamo".
gian luigi deiana
(sinistra critica)
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