La storia pone sempre nuovi dubbi sul cammino dell'uomo e se una volta non ci preoccupavamo dei possibili rischi dell'industria sulla nostra salute e sull'ambiente ora lo facciamo. Ora non vogliamo la fabbrica, non vogliamo la TAV, non vogliamo l'autostrada e facciamo bene.
Una volta probabilmente la fabbrica affianco a casa, figuratevi in una regione povera poi, era vista come una manifestazione della buona provvidenza, mentre ora sarebbe la dannazione, ma il condizionale è imprescindibile visto che oggi nessun folle creerebbe industria pesante dal nulla in Italia.
Eppure l'industria pesante in Italia esiste ancora ed il problema si pone fortissimamente nei luoghi dove è installata un'acciaieria, un petrolchimico, una centrale elettrica. Cosa è più importante: il lavoro ed i salari, o la salute e la conservazione dell'ambiente?
Non è una domanda a cui è facile rispondere, checché se ne dica. Soprattutto se si è tra quelli che ancora oggi cercano di restare comunisti. Nell'ubriacatura generale dell'antiberlusconismo, con l'ingresso nel complesso mondo del movimento antiglobalizzazione, in molti si erano dimenticati dell'esistenza degli operai, e gli stessi operai si erano dimenticati irrimediabilmente di essere stati una volta il motore del progresso umano. Abbiamo condotto battaglie ambientaliste, ecologiste, ma ora ci troviamo a discutere con chi ci ha accompagnato in queste lotte e siamo dalla parte del carbone e dell'acciaio, della diossina e del piombo. E ci rode dentro il dubbio, non sappiamo che posizione prendere: lavoroosalute?lavoroosalute?lavoroosalute?
Quello che subiscono gli operai è un ricatto: ti do il salario, ma ti faccio respirare merda. Eppure una volta era più facile sopportare il ricatto, nella prospettiva che questo ricatto sarebbe servito un giorno a cambiare la società. Ma se nessuno crede più che sarà il proletariato industriale a plasmare la società dell'uguaglianza, che senso ha accettare il ricatto? Soffrire per cosa?
Ma se siamo concreti non possiamo neanche credere che il mondo del futuro prossimo potrà fare a meno dell'acciaio e dell'industria chimica. E non si potranno riciclare tutti gli operai di oggi nella produzione di energie alternative, perché l'Italia è un paese di 60 milioni di persone, non di 5 o 6 come in Scandinavia. La Germania ha investito tanto sulle rinnovabili, è verissimo, ma non credo che a Ludwigshafen am Rhein, città industriale della Renania-Palatinato si respiri un'aria molto migliore di quella che si respira a Sarroch o a Portovesme.
Il capitalismo ha ancora bisogno dell'industria pesante e fintanto che avremo a disposizione delle colonie commerciali nel sud del mondo continueremo a sfruttarle e ad inquinarle e a distruggerle come abbiamo sempre fatto. Noi potremmo anche sperare di vivere un giorno in un Europa senza inquinamento industriale, ma per farlo dovremo inquinare il resto del mondo. Senza pietà.
Dunque, lavoro o salute? La risposta è ardua, ci sono argomentazioni sia a favore di un aspetto, sia a favore dell'altro. E' nostro dovere interrogarci sulla risposta.
dp
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