mercoledì 11 luglio 2012

SARDEGNA, TRA NAZIONALISMO E FUTURO


Ogni miserabile babbeo, che non abbia al mondo nulla di cui poter essere orgoglioso, si appiglia all'ultima risorsa per esserlo, cioè alla nazione cui appartiene: in tal modo egli si rinfranca ed è ora pieno di gratitudine e pronto a difendere con le unghie e con i denti tutti i difetti e tutte le stoltezze caratteristiche di quella nazione.
[A. Schopenhauer L'arte di insultare, Adelphi, 1999]




In un articolo del 24 ottobre (Autodeterminazione e anticapitalismo) ho parlato del fatto che le forze anticapitaliste dovrebbero compiere un lavoro teorico e pratico all'interno delle vertenze locali, riconoscendo come fondamentale il diritto all'autodeterminazione non solo dei popoli, ma anche delle popolazioni.
Nel corso di questi anni si è svolto all'interno della mia coscienza politica un acceso dibattito su come coniugare il mio essere di sinistra con le numerose pulsioni autonomiste sarde. Naturalmente il tutto era facilitato dal fatto che l'armamentario ideologico anticapitalista sia pieno di riferimenti anticolonialisti e non trovavo nessuna difficoltà nell'analizzare la situazione sarda come quella di una terra colonizzata ad uso del capitalismo italiano. 

Tutto ciò mi portava a mantenere una sorta di distanza ideologica su questo punto sia dai movimenti indipendentisti principali (che rifiutano il riconoscimento della natura capitalista del colonizzazione dell'isola), sia dai partiti di sinistra italiani che compivano, in maniera diversa, lo stesso errore. Ora pare che sia all'interno di Sel che della Federazione della Sinistra stiano nascendo dei percorsi che potrebbero portare in futuro alla nascità di una forte sinistra indipendentista e/o autonomista in Sardegna, ma non è di questo che vorrei parlare.

Il nazionalismo nella storia

La storia mondiale, dall'800 in poi ha visto crescere prima in Europa e in America e poi nel resto del mondo la religione politica del nazionalismo. La spinta di questo sistema di pensiero fu talmente forte da raggiungere i   leader dei due paesi simbolo della contrapposizione ideologica che, a parte la parentesi nazifascista, ha segnato la storia globale recente ovvero Woodrow Wilson e Vladimir Lenin. I due riconobbero in maniera differente il diritto all'autodeterminazione dei popoli: nel primo caso attraverso soprattutto l'idea della Società delle Nazioni; nel secondo con la spinta del III Internazionale che per esempio costrinse negli anni '20 il Partito Comunista Sud Africano ad abbandonare le politiche filo-bianchi in favore del riconoscimento del diritto dei nativi neri a governare il paese. Non possiamo naturalmente dimenticare che sia Usa che Urss smentirono poi questa apertura teorica all'autodeterminazione dei popoli in favore di scelte dettate dalla realpolitk. 

Il nazionalismo costituì dunque un elemento fondamentale nella storia degli ultimi due secoli, ma non possiamo dire che fu responsabile del "progresso" civile e politico degli Stati in cui agì. Numerosi studiosi ritengono che lo stato sociale, la democratizzazione delle forze di governo ed altri processi storici non derivano necessariamente dall'esistenza di una forte comunità nazionale o di uno Stato nazione.

Anzi, è molto più facile individuare nel nazionalismo elementi negativi come lo sviluppo di xenofobia, antisemitismo e pratiche di esclusione politica ai danni delle minoranze etniche. Inoltre lo Stato nazionale, divenuto un modello di esportazione in tutto il mondo, se ha incontrato numerosi successi nel mondo occidentale ha fallito miseramente in quasi tutti gli altri stati in cui si è imposto.

Alla luce di questi fatti, espressi molto brevemente, sembra chiaro che non può essere l'ideologia nazionalista a guidare la rinascita della Sardegna. Con ideologia nazionalista e nazionalismo non intendo semplicemente le manifestazioni virulente e xenofobe rappresentante da partiti come la Lega Nord, ma in toto il modello teorico e ideale che ha costituito la base degli stati nazione occidentali e non solo tra '800 e '900.


La Sardegna

Credo che l'isola abbia diritto all'indipendenza, ma credo che questo diritto vada inscritto non più nell'ambito dell'obsoleto diritto all'autodeterminazione dei popoli. Penso che sia necessario che le politiche indipendentiste rinuncino a ogni pretesa nazionalistica: non abbiamo bisogno della costruzione immaginaria di un comune passato. Il primo passo fondamentale verso l'indipendenza è riconoscere il carattere materiale dello sfruttamento a cui è sottoposta la Sardegna, uno sfruttamento attribuibile in massima parte ai meccanismi del capitalismo.

Se i movimenti indipendentisti non attuano questa presa di coscienza e soprattutto non elaborano un'alternativa a questo sistema, la lotta separatista non ha alcun senso. Non abbiamo bisogno di un altro Stato nazione nel mediterraneo che funzioni esattamente come l'Italia o la Francia; soprattutto è un modello che può difficilmente funzionare nell'Europa degli Stati a sovranità limitata.

Sia fatta l'autodeterminazione, ma non in virtù dell'invenzione di un passato comune, o di un inimmaginabile etnia sarda. L'indipendenza può, anzi deve derivare dal diritto all'autodeterminazione delle popolazioni oppresse dal capitalismo, senza confini e senza bandiere nazionali.

Nota finale


Quest'articolo è stato scritto per scatenare un dibattito, anche accesissimo e che sfrutti le armi più feroci della dialettica politica. So bene che è incompleto, che non esamina le differenze all'interno della galassia indipendentista; spero di riuscire entro tempi brevi ad integrarlo con uno studio più approfondito delle posizione riguardo ai concetti di nazione e nazionalismo di ciascuno dei movimenti indipendentisti sardi. 


dp





1 commento:

  1. Sig. Davide dovrebbe fare una distinzione netta tra autonomismo e indipendentismo. Detto questo il nazionalismo di stampo ottocentesco e quello del '900 sono già di per se diversi tra loro. Quello che può definire come nazionalismo sardo è per me funzionale al principio di autodeterminazione dei popoli che ritiene obsoleto. L'Italia e il "suo" nazionalismo hanno impedito l'uso della parola sovranità all'interno dello Statuto sardo ritenendo il popolo italiano nel suo complesso l'unico detentore di tale diritto. Più di recente un ufficio della Regione, sempre riferendosi alla costituzione italiana, ha respinto l'istanza di un referendum consultivo sull'indipendenza. Noi sardi di per se non siamo nazionalisti e imperialisti come la classe dirigente italiana che continua a vivere del mito di Roma ora riversato in un ossequiosa appartenenza alla Nato. Noi sardi subiamo scelte che non ci appartengono veicolati dai media e dalla scolarizzazione di massa. In questo senso mi ritengo un nazionalista in difesa di ciò che credo continuerà a determinare una costante sconfitta delle energie che il mio popolo potrebbe esprimere, e non certo per una questione etnica o di creazione di distanze con altri popoli che al pari del nostro, tutti, hanno diritto di vivere pacificamente su questa terra.

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